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Ambiente

Inganno al supermercato, prodotti finto ecologici: come smascherarli dall’etichetta

Attenzione ai prodotti che fingono di essere “verdi”. Per smascherarli bisogna controllare bene l’etichetta.

Mai sentito parlare di greenwashing? Essenzialmente si tratta di una furbesca strategia di marketing. La adottano alcune aziende che si danno, come dire, una “mano di verde” presentandosi più “green” di quanto non siano realmente. Allo scopo, naturalmente, di collocare i propri prodotti nella nicchia di mercato più sensibile ai temi ecologici.

Ecco come scoprire se è un prodotto è veramente ecologico – ermesagricoltura.it

Come detto non si tratta altro che di un’abile mossa di marketing per attirare i consumatori e aumentare i profitti. E non ci sarebbe nulla di male se il tanto sbandierato “ecologismo” di queste aziende corrispondesse alla realtà dei fatti.

Ma trattandosi sostanzialmente del solito specchietto per le allodole chi ha davvero a cuore la causa ambientale non farà male a indirizzare i propri soldi verso altri lidi. Ma come riconoscere il greenwashing?

Come smascherare i prodotti finto ecologici a partire dall’etichetta

Un aiuto ce lo danno gli esperti che consigliano di stare molto attenti prima di tutto alla terminologia impiegata. C’è puzza di bruciato, ad esempio, quando i termini impiegati sono troppo vaghi e generici. Sono capaci di tutti di dichiararsi green, eco, eco-friendly, bio, naturali, amici della terra, del clima, degli animali, ecc. Ma i grandi proclami valgono poco senza numeri e cifre come quelle che possiamo trovare sui bilanci di sostenibilità.

Quando i termini sono vaghi e generici il greenwashing è dietro l’angolo – ermesagricoltura.it

Attenzione anche a cosa dichiarano le aziende: se descrivono qualcosa come naturale al 100% non bisogna cadere nel tranello. Naturale non è necessariamente sinonimo di sicurezza ambientale e lo stesso vale per diciture come “compostabile” o “riciclabile” che non sono per forza garanzia di ecologico. Anche una bottiglia di plastica è biodegradabile, se è per quello. Il problema è che per disperdersi ci mette 450 anni…

Diffidare anche dei messaggi irrilevanti. Come quelli che vantano l’assenza nei prodotti di composti già proibiti dalla legge. Ad esempio i Cfc, quando il bando dei clorofluorocarburi  risale già agli anni ’70. O ancora la mancanza di ormoni: una precisazione irrilevante, visto che sarebbero anche loro banditi dalla legge. Attenzione pure alle immagini strumentali, generalmente quelle che richiamano temi naturali o perfino bucolici. Qualche esempio? Un orso polare piazzato nel bel mezzo della pubblicità di un’auto, un bosco che appare nello spot di una società petrolifera o ancora le colline in fiore sulle etichette delle carni provenienti da allevamenti intensivi.

Prodotti green “fake”: occhio ai colori e alla presenza delle certificazioni

E come la mettiamo coi colori? Anche a quelli bisogna stare attenti. Verdino o tinte naturali (beige o écru) possono ingannare l’occhio del consumatore. Mai dimenticare però che un prodotto va giudicato dai materiali riportati sull’etichetta e dal packaging. Difficile che un prodotto con tanti involucri, tra pellicola, carta e plastica, possa essere tanto “verde”. Decisamente meglio le confezioni monomateriale.

Non è raro che le aziende inquinanti adottino una strategia cromatica che richiama temi ambientali per ripulirsi l’immagine: ma è sempre greenwashing! – ermesagricoltura.it

Infine c’è il capitolo dei marchi garantiti. Diversi brand provvedono ad attestare l’effettiva sostenibilità dei loro articoli. In Europa ad esempio c’è Ecolabel che attesta che nel suo intero ciclo di vita il prodotto o il servizio ha un ridotto impatto ambientale. Ottima anche Uni En Iso 14024: un’etichetta ambientale che viene assegnata da un ente indipendente. Controllate anche se ci sono Uni En Iso 14021 (autodichiarazione dei produttori) e Fsc che attesta la provenienza dei prodotti da foreste gestite correttamente, da fonti controllate o da materiali di recupero.

Utile anche Pefc, marchio di garanzia rilasciato agli enti che seguono foreste e boschi. Chi vuole rassicurazioni sul trattamento della forza lavoro impiegata potrà verificare se è presente Fairtrade, che dà garanzie sull’adozione delle migliori condizioni di vita per chi è impegnato a lavorare nella produzione. Infine abbiamo Gots (Global organic textile standard), una delle certificazioni più rigorose in campo tessile sulle materie prime e l’intera filiera produttiva.

Emiliano Fumaneri

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